Spazio S.P.I.N, co-progettazione per l’innovazione, aiuta i giovani a restare
1 Agosto 2019 - Gigi

“Credici, non aver paura di fallire e sii audace”: così Michele e Melita aiutano i giovani a restare nella propria terra

 

Melita Messina e Michele Giovinazzo, membri di Impact Hub Bari dal 2017, sono i founders di Spazio S.P.I.N., uno spazio di co-progettazione per l’innovazione, che si occupa di accompagnamento nella formulazione e nella gestione di progetti di business innovativi, facilitando l’accesso a bandi e finanziamenti.

Li abbiamo intervistati per conoscere meglio la loro storia.

 

Intervista di Viviana Guarini

Cosa significa co – progettare e in cosa si differenzia dalla progettazione vera e propria?

Significa coinvolgere il cliente finale nella progettazione. Rispetto alla progettazione normale significa creare un processo di consapevolezza, perché il fatto che ci sia un coinvolgimento continuo, e soprattutto in tutte le fasi della progettazione, permette al cliente di seguire l’evoluzione del progetto, come si modifica, come cresce, come si sviluppa.

Questa metodologia consente di sviluppare una consapevolezza intesa come capacità di diventare autonomo nella gestione di quel progetto e nella gestione degli strumenti stessi. La consulenza, quindi, diventa anche un momento di formazione per il cliente che diventa autosufficiente nella gestione e apprende quella che è la logica della struttura di un progetto efficace. Questo diventa quindi un valore aggiunto rispetto alla progettazione normale

 

Da quanto tempo vi occupate di co – progettazione e quando è nata questa passione?

Spazio S.P.I.N. è stato fondato nel 2016. La nostre passione nasce dalla sperimentazione su di noi: noi siamo stati i primi clienti di noi stessi. Abbiamo applicato ai nostri progetti delle metodologie apprese durante vari percorsi di alta formazione. Realizzando, infatti, progetti sull’apprendimento non formale, eravamo già abbastanza predisposti come facilitatori e avevamo appreso già metodologie di facilitazione. A questo abbiamo unito metodologie di service design, business design e altre metodologie come ad esempio la metodologia G.O.P.P.

 

Cosa vi piace di più di questo lavoro?

La cosa più divertente è sicuramente quella di conoscere gente che ha un sacco di idee “strampalate”. Il nostro lavoro ci consente di conoscere molte realtà innovative alle quali probabilmente non avremmo mai prestato attenzione, ma soprattutto è un lavoro che non risulta mai noioso, perché ci consente di confrontarci sempre con settori diversi, con idee e con persone diverse. Inoltre uno degli aspetti più belli è il rapporto che si instaura con i clienti, perché la facilitazione consente anche questo: creare un rapporto basato principalmente sull’empatia.

 

Qual è la vostra mission? Perché fate questo lavoro?

Poiché siamo stati i primi sui quali abbiamo sperimentato queste metodologie, facciamo questo lavoro perché ci piace supportare e accompagnare le persone a realizzare delle idee, a renderle sostenibili ed efficaci.

Eravamo convinti che dopo la laurea avremmo trovato immediatamente un posto fisso e invece quando, come spesso accade a chi esce dal mondo universitario, il mondo ci è “crollato addosso” , abbiamo capito che avremmo dovuto ingegnarci, abbiamo fatto di tutto per crearci un futuro e per farlo nella nostra terra. Crediamo sia utile andare fuori e fare nuove esperienze, ma siamo anche convinti che se le opportunità non ci sono occorre crearsele: quindi ci piace aiutare le persone a crearsi delle opportunità. In questo modo creiamo sviluppo per il nostro territorio dando degli strumenti ai giovani.

 

Cosa direste ai giovani di oggi che vorrebbero intraprendere un percorso imprenditoriale restando nella propria terra?

Credeteci, non abbiate paura di fallire e siate audaci. La paura di fallire è un concetto che ancora non siamo in grado di accettare, invece anche il fallimento è un momento fondamentale, un passaggio obbligatorio per aumentare la consapevolezza. Il fallimento e l’errore rappresentano una parte fondamentale dell’apprendimento non formale: l’importante è non arrendersi, capire l’errore e riformulare.