La straordinaria storia di Jan Koum, mente di WhatsApp!
23 Dicembre 2016 - Impact Hub Bari

“Lavorate con persone curiose, che si chiedono come funzionano le cose. La curiosità e la capacità di costruire qualcosa e farlo funzionare”.

Più concreto che visionario, più riservato che comunicativo. Così è apparso Jan Koum, il fondatore di Whatsapp nell’incontro a Firenze tenutosi ad ottobre 2016 con circa 800 ragazzi per l’inaugurazione della diciassettesima edizione del progetto “Il Quotidiano in Classe” dell’Osservatorio Permanente Giovani – Editori.

La storia di Jan

Il recente accordo che ha visto la cessione di WhatsApp a Facebook per 19 miliardi di dollari, ha portato ancora una volta alla ribalta Jan Koum, il suo fondatore. Secondo Forbes, Koum avrebbe infatti ricevuto ben 6,8 miliardi di dollari dalla transazione, il corrispettivo del 45% delle azioni da lui detenute, secondo la rivista.

La storia di Koum è molto particolare, se solo si pensa al luogo da lui scelto per firmare l’accordo con Facebook, l’ex edificio dei servizi sociali ove un tempo andava a fare la fila insieme ad altri diseredati come lui per avere i buoni alimentari. Jan Koum è nato in un piccolo borgo ucraino nei pressi di Kiev, in Ucraina, ove ha trascorso la sua infanzia, figlio di un imprenditore edilizio e di una casalinga. All’età di sedici anni emigrò insieme alla madre a Mountain View, mentre il padre decise di rimanere in Ucraina. I primi tempi furono subito complicati, tanto da spingere i due a rivolgersi all’assistenza pubblica per poter avere un alloggio.
La fortuna di Koum fu soprattutto quella di dedicarsi all’informatica, da autodidatta. La sua formazione lo portò ben presto ad unirsi ad un gruppo di hacker, il quale riuscì ad entrare abusivamente nei server della Silicon Graphics e a chattare con Sean Fanning, il co-fondatore di Napster. 

whatsappIscrittosi alla San Jose State University, si mantenne agli studi lavorando presso Ernst & Young in qualità di collaudatore di sicurezza. Nel 1997 fu chiamato per un colloquio con Yahoo, ottenendo un posto da ingegnere dell’infrastruttura. Proprio due settimane dopo, la rottura di un server di Yahoo gli offrì la possibilità di abbandonare lo studio, da lui odiato. Chiamato al cellulare da David Filo, uno dei cofondatori di Yahoo mentre era in aula per una lezione, fu aspramente redarguito e messo davanti ad un bivio, che non esitò ad imboccare nella direzione contraria all’università.

Alla morte della madre, nel 2000, Koum ebbe soprattutto il sostegno di un altro dipendente di Yahoo, Brian Acton, con cui aveva nel frattempo stretto amicizia. Il loro cammino sarebbe proseguito di pari passo sino al 2007, quando i due, decisero infine di andarsene ormai svuotati da anni di lavoro considerato deprimente. L’anno della svolta fu il 2009, quando Koum dopo essersi comprato un iPhone, si rese conto che l’App Store lanciato sette mesi prima stava ormai per prepararsi al lancio delle app. Proprio da questa intuizione, nacque infine WhatsApp, di cui fu registrato il marchio in California, il 24 febbraio. Dopo un primo momento di difficoltà, dovuto a problemi di carattere tecnico, l’app fu infine lanciata come gratuita senza alcuna campagna promozionale, confidando sul semplice passaparola.
Nel giro di pochi mesi, Whatsapp raggiunse i 10.000 download al giorno, spingendo Koum e i suoi partner a rendere il servizio disponibile solo a pagamento. Se in un primo momento questa decisione portò la platea ad appena mille download al giorno, i risultati hanno poi premiato in maniera copiosa la strategia adottata. Grazie ai costi ridotti, all’assenza di pubblicità, alla mancata intrusione nella privacy derivante dal fatto che non prende informazioni personali sull’utente, ad eccezione del numero di telefono, WhatsApp, nel volgere di cinque anni è riuscita a calamitare l’attenzione di 450 milioni di clienti, che ogni giorno mandano 50 miliardi di sms e si scambiano 400 milioni di foto.

Dati che hanno infine spinto Facebook ad acquistarla a 19 miliardi di dollari, a distanza di un solo anno dal naufragio della trattativa con Google per la cifra di un miliardo, definita allora folle.